Alla fine, le tazze erano
rimaste solo tre.
La prima tazza era marcata “RoBert”. Si trattava, ovviamente, di quella di RoBert Red, il capo.
La prima tazza era marcata “RoBert”. Si trattava, ovviamente, di quella di RoBert Red, il capo.
Con un nome simile, RoBert
aveva giocato per anni. Da sempre aveva millantato una parentela
impossibile con il grande attore. Aveva addirittura sostenuto che
Redford era un nome d’arte, e che questo suo cugino attore si era
aggiunto al cognome vero (il suo stesso cognome) quello di una grande
azienda di auto, per darsi un’importanza maggiore, e potere così
millantare una parentela con il grande magnate di industria. Come se
qualcuno, in Italia, pur chiamandosi Rossi, aggiungesse “Fiat” o
“Lancia”, oppure “Ferrari” al cognome. Qualcosa come “Rossi
Ferrari”.
Avete inquadrato il
personaggio RoBert Red ? Bene, la realtà, come vedrete, sarà
peggiore della vostra peggiore (o migliore) immaginazione.
Tornando alla storia, RoBert
Red prese la sua tazza e la osservò per un po'.
L’altra tazza rimasta era
quella di GeoRge.
GeoRge Green lasciò la tazza
al suo posto, sul tavolo da riunione.
Gli altri nove presenti alla
stessa riunione si erano dovuti alzare, a turno, ed erano usciti, con
la coda tra le gambe, e con il loro progetto nel cestino.
Era questo lo scopo del gioco,
e della riunione stessa: estrarre, tramite uno stratagemma, un
progetto a caso, tra tutti, e finanziarne lo sviluppo e curare la
realizzazione del progetto stesso.
Chi aveva escogitato questo
diabolico modo di riunirsi, vi starete chiedendo ?
Che domanda… Ma
naturalmente, … la nipotina di sette anni dello stesso RoBert Red,
che ovviamente millantava di essere lui il geniale inventore.
Sicuramente, qualcuno tra di
voi starà facendo un po' di conti, e starà pensando che c’è
qualcosa di sbagliato nel mio racconto, in quanto 2 + 9 non fa 12.
Tranquilli. Lo so
perfettamente, anche se ammetto di essere una pippa in matematica !
Esiste una dodicesima tazza,
marcata “Il Genio del Computer”, che non corrisponde, finora, a
nessun giocatore.
Infatti, si tratta della coppa
del premio, che verrà riempita di Wiskey o di Brandy, o di Rum, o
d’un altro qualsiasi liquido nefasto per il fegato, e che il tapino
vincitore della gara dovrà tracannare al termine del “game”,
anche a rischio, come già accaduto più volte, di rimanerci secco o
di essere trasportato tramortito in ospedale quasi in fin di vita.
In effetti, lo scopo
recondito, ma non tanto, del gioco, istituito da RoBert Red in
azienda, era quello di non finanziare nulla, anzi, di rendere
impossibile qualunque avanzamento in carriera, praticamente
uccidendo, o rendendo inoffensivo, qualunque concorrente al suo
dispotico posto di dittatore dell’azienda.
Questa volta, però, RoBert
cominciò a preoccuparsi quasi subito del comportamento di GeoRge.
Quest’ultimo, infatti, non sembrava per nulla preoccupato.
Anzi, GeoRge Green sorrideva.
Guardava la sua tazza e sorrideva.
Alla fine di una lunga, quasi
interminabile pausa (o almeno come questa sembrò a RoBert), GeoRge
prese in mano la tazza.
GeoRge mise la tazza vicino a
sé, e tirò fuori da sotto al tavolo una bottiglia a forma di
mappamondo.
Su questa bizzarra bottiglia
c’era scritto “GeoDrinX”.
Lentamente, GeoRge Green svitò
il tappo argentato e sferico della bottiglia.
Questa, la bottiglia, era
montata su una forcina a forma di “G”, come la lettera iniziale
della parola “GreoDrinX”, e la bottiglia, così sistemata, aveva
il collo, della bottiglia stessa, inclinata, proprio come un
mappamondo.
GeoRge prese a versare il
contenuto della bottiglia nella tazza. Poi, terminata l’operazione,
lasciò la tazza dov’era e vi mise accanto la bottiglia,
trasparente, in cui si vedeva il livello, che sembrava inclinato, del
liquido al suo interno.
Il colore del liquido era di
uno strano azzurro, con dei riflessi rossastri.
GeoRge disse a RoBert di
avvicinarsi e di guardare all’interno della tazza, che, essendo di
metallo, non permetteva di vedere da lontano il colore del contenuto.
Questo, cioè il colore del
liquido nella tazza, sembrò lo stesso di quello della bottiglia,
come naturale che fosse, a parte una leggera differenza dovuta
sicuramente al contenitore metallico. Bianco, ed ai riflessi dello
smalto al suo interno.
GeoRge disse lentamente a
RoBert, scandendo le parole:
“Guardi bene il colore.
Memorizzi il colore”.
E per rendere molto più
“mnemonica” questa operazione di memorizzazione, GeoRge tirò
fuori dalla tasca una piccola videocamera, o una camera digitale.
GeoRge si avvicinò alla tazza
e si sentì il rumore dello scatto della foto.
Dopo qualche secondo,
appoggiata la digital camera sul tavolo, GeoRge spostò la tazza
trascinandola con un dito dalla parte opposta del tavolo.
Dopo questa operazione, GeoRge
tornò nella sua posizione e prese di nuovo la macchinetta
fotografica.
Poi, di nuovo si avvicinò
alla sua tazza, in cui aveva versato il “suo” liquido.
Nel frattempo, RoBert Red
seguiva GeoRge Green come un cagnolino.
RoBert guardò la tazza. Poi,
guardò il liquido nella bottiglia, che stava nell’altra parte del
tavolo. Guardò più volte, alzando e abbassando lo sguardo. Su e
giù, tic tac, guardando a scatti, quasi come un giudice di gara ad
una partita di tennis.
Sembrava incredibile, ma i due
liquidi sembravano essere di due colori diversi, anche se si trattava
dello stesso liquido, diviso in due contenitori.
RoBert Red si stropicciò gli
occhi più volte, ma il risultato gli sembrò essere sempre lo
stesso: i due colori erano un po' diversi.
A scanso di equivoci, GeoRge
Green scattò una seconda foto alla tazza, con la stessa angolatura
di ripresa. Poi, GeoRge si avvicinò trionfante a RoBert Red, e
commutò l’interruttore della digitalCamera sulla posizione “Play”.
GeoRge avvicinò il display della Camera allo sguardo incuriosito
di RoBert Red e cominciò a far “flippare” le due foto, avanti e
indietro. Poi, mostrò le due doto affiancate e, dopo ancora, inserì
una funzione della digitalCamera, che mostrava la “temperatura
colore” dell’immagine.
Questa “temperatura” era
in realtà un numero, anzi, tre numeri, che rappresentavano il valore
del Rosso, del Verde e del Blu, di un punto indicato sullo schermo
della digitalCamera.
I tre valori erano diversi.
Il colore del liquido, nelle due foto della tazza, posta in punti
diversi del tavolo, era diverso.
Come poteva essere avvenuta
questa cosa ?
RoBert Red lo chiese a GeoRge
Green. E questi, con la stessa calma flemmatica mostrata finora,
scandì queste parole:
“Si tratta del mio SoftWave
Liquido”.
“Soft di che cosa ?” -
Esclamò interrogativo RoBert Red.
“SoftWave Liquido” -
Ripeté GeoRge Green, sicuro di sé.
E poi, GeoRge continuò la sua
spiegazione:
“Ho programmato le
particelle del liquido con un codice sorgente di mia creazione, in
modo che il liquido stesso assume un colore diverso a seconda della
posizione in cui si trova sulla terra. In realtà, si tratta di una
programmazione molto semplice, che ho praticamente copiato da un
programmetto demo di una batteria di led cinesi che cambiano colore
tramite un telecomando. Ho semplicemente sostituito al led il mio
liquido, che a sua volta non è nulla di particolare, ma un semplice
succo di frutta di aranciata con aroma di frutto della passione.”
RoBert Red sembrò
tranquillizzarsi e prese a sfoggiare il suo sorriso sardonico
migliore. La parola “semplicemente” lo aveva fatto entrare nel
suo terreno di gioco, dove era maestro di banalità.
“Bene” - disse RoBert Red
- “A questo punto dobbiamo festeggiare con un bel brindisi.” E
si avviò verso l’armadietto del bar. Ma fu stoppato da una frase
di GeoRge Green:
“Ho un’idea migliore:
brindiamo con il mio succo di frutta.”
RoBert Red si fermò per un
poco, poi riprese ad avvicinarsi al suo armadietto di veleni epatici.
Scrocchiò le dita e prese a ruotare la serratura numerata per
inserire una combinazione da cassaforte.
“OK.” - disse GeoRge -
“Visto che non si fida, berrò solo io il mio liquido. Lei beva
pure il suo prezioso Brandy.”
GeoRge Green prese in mano la
sua tazza, e ne versò il contenuto nella tazza/coppa premio,
contrassegnata dalla frase “Il Genio del Computer”.
Poi, mentre RoBert Red si
stava avvicinando con la bottiglia di Wiskey etichettato “Micidial
Misture”, GeoRge bevve d’un fiato dalla tazza premio, facendo
anche, alla fine, un bel rutto liberatorio.
“Burp!” - fece GeoRge
Green, emettendo bollicine dalla bocca che cambiarono colore mentre
volteggiavano in aria.
Dopo questa brillante
performance, GeoRge tirò fuori dalla borsa un piccolo computer
Macintosh. Lo aprì, ed il monitor si accese immediatamente, come al
solito.
GeoRge mostrò Blender, un
programma di modellazione, già acceso sul video, e che lui aveva
personalizzato con un addon, in cui si vedeva un personaggio in 3D,
vestito come lui, e come lui posizionato in una sala riunione come
quella in cui si trovavano in quel momento.
GeoRge alzò un braccio e
salutò l’omino nel computer. Questi, cioè l’omino nel
computer, alzò il braccio nello stesso momento di GeoRge, e salutò
nello stesso modo, come in uno specchio.
L’omino al computer era
GeoRge Green stesso e cominciò a danzare, esattamente come stava
facendo GeoRge, nello stesso identico momento.
GeoRge si avvicinò alla porta
e la aprì, esattamente come l’omino al computer, e quando RoBert
Red lo chiamò, si fermò, rispondendo alle domande e tornò indietro
a dare ulteriori spiegazioni.
Insomma, GeoRge dimostrava di
non stare mimando un video pre-registrato.
GeoRge ed il computer erano la
stessa persona.